Archive for December 1st, 2007

Tra impegni vari ecco un mio racconto per il corso di scrittura

Sono davvero imperdonabile ma credetemi in questi giorni non ho proprio avuto la forza di collegarmi, con tempo, al blog; stasera finisce il corso di scrittura di Laura Lepri, e chiudiamo col botto visto che sarà con noi lo scrittore siciliano Ottavio Cappellani, quindi la prossima settimana, fino alla partenza per la Germania (poi vi dirò), dovrei essere più libero.

Nell’attesa vi lascio, nella versione originale e quindi senza le correzioni di Laura Lepri (non ho tempo per farle), il primo dei racconti che ho fatto nei giorni scorsi come compito per casa.

Laura Lepri lo ha giudicato buono, spero piaccia anche a voi…

 Adolfo e i partigiani

di Rosario Rizzuto

Adolfo – mi disse mio fratello, il maresciallo Enzo De Miglio – chiama i tuoi compagni Nicola, Massimo, Giuseppe e venite a rapporto da me”.

Preparatevi – ci disse una volta arrivati – bisogna scendere a Pordenone, in località Vallenoncello, ci è arrivata notizia che nella casa vicino la chiesa ci sono armi: devono essere nostre!”.

Da qualche mese io ed un gruppo di partigiani eravamo accampati su Monte Cavallo per sfuggire ai fascisti e ai nazisti.

Ci preparammo con cura e all’imbrunire ci avviammo.

Ci aspettava un tratto a piedi, poi avremmo percorso alcune decine di chilometri in un camion per poi entrare nel paese sempre a piedi.

La paura di incontrare i militari tedeschi, che ancora spadroneggiavano in questa regione, era tanta. Riuscimmo a trovare la casa, ma le armi presenti non erano tante.

Mettemmo quelle che c’erano in un sacco e ci avviamo all’appuntamento con il nostro compagno rimasto sul camion.

Ma, all’improvviso, da dietro una casa, spuntarono otto tedeschi con il mitra puntato.

Nicola, coperto dalle tenebre, fece in tempo a buttare il sacco con le armi nel fiume sottostante mentre i nazisti avvicinatisi ci dissero parole a noi incomprensibili e cominciarono a perquisirci.

Nemmeno loro erano molto tranquilli perchè era abitudine che i partigiani girassero a gruppi e quindi ebbero paura che alle nostre spalle ci fossero altri compagni e quindi ci lasciarono andare.

La missione era fallita ma almeno avevamo salvata la pelle.

Alcuni giorni dopo mentre stavamo per mangiare, cominciammo a sentire degli spari; prendemmo tutti le nostre armi e ci sistemammo ai lati della trincea.

Un gruppo di tedeschi era riuscito a localizzarci e stavano cercando di arrivare al campo; la nostra reazione fu veemente e riuscimmo a respingerli ma ci furono alcune perdite tra i nostri soldati.

Grande fu la nostra sorpresa quando, calmatesi le acque, scendemmo nella postazione dove erano stati i tedeschi: c’era tanto sangue ma nessun corpo. Non era possibile.

Solo dopo alcune ore un nostro compagno, attirato da una maglietta, scoprì, nascoste da foglie, rami e terra, una profonda buca all’interno della quale trovammo ben 35 soldati tedeschi morti.

Di certo una buca preparata prima per non mostrare la vergogna delle eventuali perdite!

[...] Alcune settimane dopo mio fratello Enzo si trovava in una casa che aveva preso in fitto e nella quale abitava la moglie quando all’improvviso entrarono i tedeschi.

In queste loro spedizioni punitive loro uccidevano uno degli uomini presenti, portavano via gli altri uomini e, dopo aver rubato il rubabile, davano fuoco alla casa.

Nel giro di pochi minuti un nipote della proprietaria della casa era stato ucciso, mio fratello insieme con altri familiari era già su un camion per essere portato in un campo di concentramento e mia cognata e gli altri erano rimasti senza nulla e senza casa.

Per mesi non avemmo notizie del nostro maresciallo, di mio fratello, che sapevamo essere stato portato nel campo di lavoro di Mauthausen, in Austria.

La preoccupazione per la sua sorte era tanta ma noi dovevamo continuare la nostra battaglia contro i tedeschi e i fascisti.

Finchè una notte fui svegliato dal flebile richiamo di una voce, pensavo di star sognando ma aprendogli occhi vidi il corpo martoriato, il viso tumefatto di mio fratello Enzo, tornato, insieme a poche altre, persone dall’Austria.

Il suo primo pensiero, dopo esserci abbracciati forte, fu la moglie Vanda, dalla quale lo accompagnai nonostante fosse notte fonda e lei dormiva da alcuni contadini della zona.

Chiamala tu”, mi disse.

Entrai in casa, mi feci riconoscere ma non ci fu nemmeno bisogno di parlare, lei capì subito e pronunciò una sola parola: “Enzo!!!”