Posts Tagged ‘mafia’
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Lettera del figlio a Paolo Borsellino del quale oggi ricorre il ventennale dalla tragica morte terrena…
Le lacrime scendono sole e non è bello piangere qui. Non è giusto morire… figurarsi per mano di altri uomini, figurarsi quando si è una persona buona e giusta.
Trovate 10 minuti del vostro prezioso tempo per leggere questa lettera scritta dal figlio di Paolo Borsellino al Papà, un Papà con la P maiuscola, un grande uomo che avrebbe cambiato l’Italia. Sono passati 20 anni, è arrivato berlusconi (se fossero rimasti in vita Falcone e Borsellino, berlusconi non sarebbe mai arrivato!!! loro non avrebbero permesso che un tale soggetto governasse l’Italia!!) e l’Italia è ancora quel paesacchio di merda che Falcone e Borsellino avrebbero a quest’ora cambiato nonostante tutto e tutti.
Potrei scrivere mesi, ma non servirebbe, per un’emozione vera e da brividi, leggete cosa scrive al Papà il figlio di Paolo Borsellino…
Il primo pomeriggio di quel 23 maggio studiavo a casa dei miei genitori, preparavo l’esame di diritto commerciale, ero esattamente allo “zenit” del mio percorso universitario. Mio padre era andato, da solo e a piedi, eludendo come solo lui sapeva fare i ragazzi della scorta, dal barbiere Paolo Biondo, nella via Zandonai, dove nel bel mezzo del “taglio” fu raggiunto dalla telefonata di un collega che gli comunicava dell’attentato a Giovanni Falcone lungo l’autostrada Palermo-Punta Raisi.
Ricordo bene che mio padre, ancora con tracce di schiuma da barba sul viso, avendo dimenticato le chiavi di casa bussò alla porta mentre io ero già pietrificato innanzi la televisione che in diretta trasmetteva le prime notizie sull’accaduto. Aprii la porta ad un uomo sconvolto, non ebbi il coraggio di chiedergli nulla né lui proferì parola.
Si cambiò e raccomandandomi di non allontanarmi da casa si precipitò, non ricordo se accompagnato da qualcuno o guidando lui stesso la macchina di servizio, nell’ospedale dove prima Giovanni Falcone, poi Francesca Morvillo, gli sarebbero spirati tra le braccia. Quel giorno per me e per tutta la mia famiglia segnò un momento di non ritorno. Era l’inizio della fine di nostro padre che poco a poco, giorno dopo giorno, fino a quel tragico 19 luglio, salvo rari momenti, non sarebbe stato più lo stesso, quell’uomo dissacrante e sempre pronto a non prendersi sul serio che tutti conoscevamo.
Ho iniziato a piangere la morte di mio padre con lui accanto mentre vegliavamo la salma di Falcone nella camera ardente allestita all’interno del Palazzo di Giustizia. Non potrò mai dimenticare che quel giorno piangevo la scomparsa di un collega ed amico fraterno di mio padre ma in realtà è come se con largo anticipo stessi già piangendo la sua.Dal 23 maggio al 19 luglio divennero assai ricorrenti i sogni di attentati e scene di guerra nella mia città ma la mattina rimuovevo tutto, come se questi incubi non mi riguardassero e soprattutto non riguardassero mio padre, che invece nel mio subconscio era la vittima. Dopo la strage di Capaci, eccetto che nei giorni immediatamente successivi, proseguii i miei studi, sostenendo gli esami di diritto commerciale, scienze delle finanze, diritto tributario e diritto privato dell’economia. In mio padre avvertivo un graduale distacco, lo stesso che avrebbero percepito le mie sorelle, ma lo attribuivo (e giustificavo) al carico di lavoro e di preoccupazioni che lo assalivano in quei giorni. Solo dopo la sua morte seppi da padre Cesare Rattoballi che era un distacco voluto, calcolato, perché gradualmente, e quindi senza particolari traumi, noi figli ci abituassimo alla sua assenza e ci trovassimo un giorno in qualche modo “preparati” qualora a lui fosse toccato lo stesso destino dell’amico e collega Giovanni.
La mattina del 19 luglio, complice il fatto che si trattava di una domenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all’orario in cui solitamente si alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno (compresa la domenica) alle 5 del mattino per “fottere” il mondo con due ore di anticipo. In quei giorni di luglio erano nostri ospiti, come d’altra parte ogni estate, dei nostri zii con la loro unica figlia, Silvia, ed era proprio con lei che mio padre di buon mattino ci aveva anticipati nel recarsi a Villagrazia di Carini dove si trova la residenza estiva dei miei nonni materni e dove, nella villa accanto alla nostra, ci aveva invitati a pranzo il professore “Pippo” Tricoli, titolare della cattedra di Storia contemporanea dell’Università di Palermo e storico esponente dell’Msi siciliano, un uomo di grande spessore culturale ed umano con la cui famiglia condividevamo ogni anno spensierate stagioni estive.
Mio padre, in verità, tentò di scuotermi dalla mia “loffia” domenicale tradendo un certo desiderio di “fare strada” insieme, ma non ci riuscì. L’avremmo raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre. Mia sorella Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassare una materia universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativo esame il giorno successivo (cosa che fece!) a casa di una sua collega, mentre Fiammetta, come è noto, era in Thailandia con amici di famiglia e sarebbe rientrata in Italia solo tre giorni dopo la morte di suo padre.Non era la prima estate che, per ragioni di sicurezza, rinunciavamo alle vacanze al mare; ve ne erano state altre come quella dell’85, quando dopo gli assassini di Montana e Cassarà eravamo stati “deportati” all’Asinara, o quella dell’anno precedente, nel corso della quale mio padre era stato destinatario di pesanti minacce di morte da parte di talune famiglie mafiose del trapanese. Ma quella era un’estate particolare, rispetto alle precedenti mio padre ci disse che non era più nelle condizioni di sottrarsi all’apparato di sicurezza cui, soprattutto dolo la morte di Falcone, lo avevano sottoposto, e di riflesso non avrebbe potuto garantire a noi figli ed a mia madre quella libertà di movimento che negli anni precedenti era riuscito ad assicurarci.
Così quell’estate la villa dei nonni materni, nella quale avevamo trascorso sin dalla nostra nascita forse i momenti più belli e spensierati, era rimasta chiusa. Troppo “esposta” per la sua adiacenza all’autostrada per rendere possibile un’adeguata protezione di chi vi dimorava. Ricordo una bellissima giornata, quando arrivai mio padre si era appena allontanato con la barchetta di un suo amico per quello che sarebbe stato l’ultimo bagno nel “suo” mare e non posso dimenticare i ragazzi della sua scorta, gli stessi di via D’Amelio, sulla spiaggia a seguire mio padre con lo sguardo e a godersi quel sole e quel mare.Anche il pranzo in casa Tricoli fu un momento piacevole per tutti, era un tipico pranzo palermitano a base di panelle, crocché, arancine e quanto di più pesante la cucina siciliana possa contemplare, insomma per stomaci forti. Ricordo che in Tv vi erano le immagini del Tour de France ma mio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel “tenere comizio” come suo solito, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio all’immaginazione.
Dopo quello che fu tutto fuorché un riposo pomeridiano mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l’eccidio) e l’agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiata sul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta. Mia madre lo salutò sull’uscio della villa del professore Tricoli, io l’accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l’appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.Ho realizzato che mio padre non c’era più mentre quel pomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia cugina Silvia, aveva appena appreso dell’attentato dalla radio. Non so perché ma prima di decidere il da farsi io e mia madre ci preoccupammo di chiudere la villa. Quindi, mentre affidavo mia madre ai miei zii ed ai Tricoli, sono salito sulla moto di un amico d’infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità ci recammo in via D’Amelio.
Non vidi mio padre, o meglio i suoi “resti”, perché quando giunsi in via D’Amelio fui riconosciuto dall’allora presidente della Corte d’Appello, il dottor Carmelo Conti, che volle condurmi presso il centro di Medicina legale dove poco dopo fui raggiunto da mia madre e dalla mia nonna paterna. Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo volle vedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anche ricomporre e vestire all’interno della camera mortuaria. Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine dell’esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorella ha tratto una grande forza da quell’ultima immagine del padre, è come se si fossero voluti salutare un’ultima volta.
La mia vita, come d’altra parte quella delle mie sorelle e di mia madre, è certamente cambiata dopo quel 19 luglio, siamo cresciuti tutti molto in fretta ed abbiamo capito, da subito, che dovevamo sottrarci senza “se” e senza “ma” a qualsivoglia sollecitazione ci pervenisse dal mondo esterno e da quello mediatico in particolare. Sapevamo che mio padre non avrebbe gradito che noi ci trasformassimo in “familiari superstiti di una vittima della mafia”, che noi vivessimo come figli o moglie di …..desiderava che noi proseguissimo i nostri studi, ci realizzassimo nel lavoro e nella vita, e gli dessimo quei nipoti che lui tanto desiderava. A me in particolare mi chiedeva “Paolino” sin da quando avevo le prime fidanzate, non oso immaginare la sua gioia se fosse stato con noi il 20 dicembre 2007, quando è nato Paolo Borsellino, il suo primo e, per il momento, unico nipote maschio.
Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza “farci largo” con il nostro cognome, divenuto “pesante” in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo “montati la testa”, rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l’onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra. E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l’avrebbe fatta.
Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ossia un dirigente di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed importante, faceva suo padre, indipendentemente dall’evento drammatico che mi sono trovato a vivere.D’altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventare dopo la morte di mio padre, una persona che in un modo o nell’altro avrebbe “sfruttato” questo rapporto di sangue, avrebbe “cavalcato” l’evento traendone vantaggi personali non dovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quanto figlio di …. o perché di cognome fa Borsellino. A tal proposito ho ben presente l’insegnamento di mio padre, per il quale nulla si doveva chiedere che non fosse già dovuto o che non si potesse ottenere con le sole proprie forze. Diceva mio padre che chiedere un favore o una raccomandazione significa mettersi nelle condizioni di dovere essere debitore nei riguardi di chi elargisce il favore o la raccomandazione, quindi non essere più liberi ma condizionati, sotto il ricatto, fino a quando non si restituisce il favore o la raccomandazione ricevuta.
Ai miei figli, ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del nonno, vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnamenti, raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i quali trasmettergli i valori portanti della sua vita.
Caro papà, ogni sera prima di addormentarci ti ringraziamo per il dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere…
Apr
2012
Nuovo atto intimidatorio all’assessore Carletto Squillace di Cutro. Intervento del sindaco Salvatore Migale
L’ennesimo atto intimidatorio perpetrato ai danni dell’assessore Carletto Squillace ha destato, ancora una volta, preoccupazione nella sua famiglia e in particolare nella madre che vive ormai in uno stato d’ansia per il figlio che continuamente subisce aggressioni e intimidazioni.
La stessa preoccupazione è stata espressa dall’’Amministrazione Comunale che ha condannato fermamente questo vile atto di ritorsione, in contrasto con ogni regola del vivere civile. Nello stesso tempo il sindaco, facendosi interprete anche della volontà del Consiglio Comunale, ha espresso all’assessore Squillace e alla sua famiglia la più sincera solidarietà e la propria vicinanza e il sostegno alla sua instancabile attività amministrativa e all’impegno profuso per la soluzione dei problemi inerenti il settore di propria competenza.
E’ stato manifestato infine l’impegno dell’Amministrazione Comunale a proseguire nella propria azione di cambiamento sociale e culturale in difesa della legalità e del progresso della nostra comunità.
Cutro, 16 aprile 2012
Il Sindaco Avv. Salvatore Migale
Cerco su internet, tramite Google, ma non trovo la notizia dell’atto intimidatorio, forse non c’è, forse, vista l’ora, sono poco bravo io. Ci sono notizie simili perchè il bravo assessore all’ambiente Carletto Squillace non è la prima volta che subisce atti vigliacchi volti a fiaccarlo, a farlo desistere dai suoi impegni.
Ma perchè succedono queste cose?
Perchè un uomo non può essere libero di impegnarsi per il proprio paese?
Perchè non si interviene democraticamente con dei discorsi, un comunicato stampa, magari glielo si dice in faccia se c’è qualcosa che non piace, se ha fatto qualcosa non giusta (ma non credo sia questo il motivo), perchè spaventarlo?
A chi giova questo?
Da parte mia ennesima solidarietà a Carletto con la speranza che non desisti e continui il suo impegno politico-giornalistico per la comunità di Cutro che ha bisogno di gente come lui! Non mollare, non mollare mai…
Aug
2011
Crotone, la prima Provincia italiana a rischio di scioglimento per mafia. Ne parla il Fatto Quotidiano
Crotone, la prima Provincia italiana
a rischio di scioglimento per mafia
Il Prefetto dà il via alla procedura senza precedenti. All'origine, un'inchiesta contro la 'ndrangheta che coinvolge Gianluca Marino, attuale assessore del Pdl. Diversi suoi colleghi di partito parteciparono, nel 2008, a una cena con i boss in onore del senatore Di Girolamo, condannato per riciclaggio

In vent’anni di applicazione dello scioglimento per infiltrazione mafiosa degli enti locali, mai il provvedimento ha toccato una Provincia. A rischiare ora è quella di Crotone, amministrata da una giunta di centrodestra, presidente Stano Zurlo del Pdl. In questi giorni, il prefetto di Crotone Vincenzo Panico ha inviato presso la Provincia una commissione di accesso per verificare la presenza dei clan nell’azione amministrativa.
Una decisione che nasce, quindi, con l’obiettivo di accertare eventuali ingerenze del crimine organizzato nella gestione politica dell’ente, visto che da un’inchiesta della magistratura sono emerse ombre sulla campagna elettorale e sulla vittoria del centrodestra. In particolare l’operazione, ribattezzata Hydra, coordinata dalla Procura di Catanzaro, pm Pierpaolo Bruni, che nel gennaio scorso portò in carcere 12 presunti affiliati alla cosca Vrenna-Ciampà-Bonaventura, la più potente di Crotone, ha ricostruito accordi pre-elettorali tra politica e cosche.
Tra gli indagati anche Gianluca Marino, per il reato di voto di scambio. Avrebbe ricevuto l’appoggio elettorale dagli uomini delle ‘ndrine durante le provinciali del 2009 in cambio di soldi. Marino, Pdl, non eletto, viene comunque chiamato a ricoprire il ruolo di assessore allo sport nella giunta Zurlo. Dopo l’indagine, si è dimesso dall’incarico. Il presidente Zurlo rivendica la correttezza del suo operato: “Sono certo che alla fine di questo periodo di accesso agli atti, l’immagine di questa amministrazione ne uscirà ancora più forte”.
Dall’inchiesta è anche emerso che la cosca Vrenna avrebbe messo in atto brogli elettorali per far votare due volte alcuni candidati, denunciando falsamente lo smarrimento di tessere elettorali. La commissione di accesso, partendo dalla documentazione acquisita dall’autorità giudiziaria, dovrà accertare eventuali pressioni delle ‘ndrine per la nomina di Marino ad assessore, sull’attività di giunta e se il presunto accordo pre-elettorale con le cosche abbia inciso su appalti e assunzioni.
Il Partito democratico aveva chiesto l’invio di una commissione di accesso già nel marzo 2010. Nell’interrogazione si menzionava una famosa cena in un ristorante di Crotone, svoltasi nell’aprile 2008, per festeggiare l’elezione del senatore Pdl Nicola Di Girolamo, poi inquisito per riciclaggio, con conseguenti dimissioni da Palazzo Madama (di recente ha patteggiato 5 anni di reclusione). Oltre a Di Girolamo, partecipano il presunto boss Franco Pugliese, Fabrizio Arena, figlio del boss Carmine (ucciso con un bazooka nel 2004), Gennaro Mokbel. Una cena “alla quale prendeva parte anche Gianluca Bruno (Pdl), attuale vicepresidente della provincia di Crotone, Maria Antonia Santa Maio, eletta nella lista Pdl, consigliera della provincia di Crotone (oggi Fli, ndr), Raffaele Martino (Pdl), attualmente vicepresidente del consiglio provinciale di Crotone”.
Fabrizio Arena è stato arrestato nel maggio 2010 dopo un anno di latitanza. La commissione di accesso avrà tre mesi per completare il lavoro di indagine, con la possibilità di una proroga per un massimo di sei mesi, prima di consegnare il dossier al prefetto che lo invierà al ministro dell’interno. Nel febbraio scorso, in un’altra operazione contro le stesse famiglie di ‘ndrangheta, emergeva il progetto degli uomini della cosca di ammazzare il pubblico ministero Bruni, della distrettuale antimafia di Catanzaro, un magistrato che, come altri, in terra di Calabria continua a rappresentare il volto migliore dello stato.
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Dec
2010
Intervista al boss pentito di Mesoraca Felice Marrazzo
Felice Ferrazzo si racconta alla Tv svizzera “Io ero il capo di un gruppo di dieci persone. Magari dicevo, non so, dobbiamo andare lì a fare una rapina e loro dicevano, va bene, andiamo.
Prendevamo la decisione che quello doveva morire ed era morto”.
Chi parla è Felice Ferrazzo, 55 anni, ex capo della cosca di Mesoraca, intervistato dal settimanale di approfondimento della Radiotelevisione della Svizzera Italiana “Falò” che in un documentario dal titolo ‘L’onore del sangue’, curato da Gianni Gaggini e Marco Tagliabue, ricostruisce la storia di Felice Ferrazzo, attraverso il suo racconto.
“E’ la prima volta – si legge in una nota della televisione svizzera – che un boss della ’ndrangheta del livello gerarchico di Ferrazzo accetta di parlare di sè in una lunga intervista. Per quasi dieci anni dal 1990 al 2000, Felice Ferrazzo fu il padrone assoluto in una zona dove si è combattuta una delle guerre di mafia più sanguinose. Sotto il suo comando la famiglia Ferrazzo entrò nei traffici della cocaina, delle armi e del riciclaggio grazie ai rapporti che il boss seppe imbastire con il nord Italia e la Svizzera.
Oggi Felice Ferrazzo è collaboratore di giustizia e grazie alle sue testimonianze i magistrati italiani e svizzeri hanno potuto iniziare a capire i meccanismi più segreti della ’ndrangheta, la sua organizzazione e le sue ramificazioni internazionali”.
L’ex boss di Mesoraca racconta a tutto campo, dalla sua infanzia, alla famiglia, dall’emigrazione in Svizzera, nel Canton Ticino, al ritorno in paese con l’affiliazione, l’ascesa fino alla sua nomina alla testa della cosca.
“Nel racconto, semplice e crudo, emerge una realtà culturale e sociale in cui la violenza e il potere mafioso diventa la banalità del male e della violenza, ai quali nessuno sfugge né in Italia né in Svizzera”.
Il documentario parallelamente racconta anche il lato opposto della quotidianità mafiosa, quello vissuto dagli amministratori calabresi che si oppongono al potere della ’ndrangheta, riconquistando alla legalità beni di proprietà delle cosche.
Oppure chi si oppone alla stessa “cultura della violenza” come l’Associazione antimafia Libera e le cooperative agricole di Libera Terra che tentano di strappare le nuove generazioni ad un destino criminale
per costruire un solido futuro di speranza.
Il documentario andrà in onda giovedì 16 dicembre alle 21 su Rsi LA 1.
Dal 17 dicembre sul sito www.rsi.ch/falo sarà visibile on line, oppure si può guardare la diretta del programma stasera cliccando qui.
(Fonte: Il Crotonese).
May
2010
Peppino Impastato (Cinisi, 5 gennaio 1948 – Cinisi, 9 maggio 1978): 32 anni senza Te!!!
A quest'ora dovevo essere a Lamezia Terme in attesa del pullman che mi avrebbe portato a Cinisi per ricordare il grande Peppino Impastato, invece sono davanti a questo computer di merda.

Nessuno mi ha voluto accompagnare a Lamezia (e l'ho chiesto a tanti) e io non posso guidare per colpa di due Carabinieri di merda che l'11 apriule a Cropani Marina aspettavano il forestiero coglione e hanno beccato me.
E così, anche quest'anno salta la mia partecipazione al ricordo a Cinisi (Palermo) di Peppino Impastato ma il suo ricordo e vivo e forte dentro me anche qui a Scandale…
Anche io come Peppino voglio gridare: "Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!" (Peppino Impastato)
Jan
2010
Le foto del 17° Anniversario dalla scomparsa del giornalista Beppe Alfano
Mar
2009
Arrestato Giuseppe Vrenna, capo della cosca di Crotone
Si tratta di Giuseppe Vrenna, 58 anni, accusato di associazione per delinquere, estorsione, omicidio e altri reati.

Si trovava in un appartamento, in provincia di Cosenza. Le indagini sono state condotte dal Servizio centrale operativo di Roma, squadra mobile di Crotone e di Cosenza.
Vrenna, considerato il capo dell’omonimo gruppo di ‘ndrangheta è indagato per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione e traffico di sostanze stupefacenti, era ricercato dall’aprile 2008, quando sfuggi alla cattura nell’ambito dell’operazione “Eracles”, fatta dalla Dda di Catanzaro contro le cosche del Crotonese, nella quale erano state arrestate numerosi esponenti delle cosche mafiose operanti nella provincia di Crotone ritenute responsabili inoltre di omicidi, traffico di armi e stupefacenti estorsioni e danneggiamenti.
Al momento dell’arresto, a Montalto Uffugo (pochi chilometri da Cosenza), Vrenna era con la moglie e la figlia di quattro anni.
Il personale dello Sco e delle Squadre mobili di Crotone e Cosenza sono entrati nella casa in cui si nascondeva il latitante calandosi dal piano superiore e sfondando una finestra dopo che avevano bussato inutilmente alla porta dell’appartamento. (Fonte: com.unica).
Jan
2009
UNO SPIRAGLIO DI LUCE!!!
Lamezia «Dicevano: paga o vattene». Il sindaco: ora altri lo seguano
Calabria, la prima rivolta contro chi impone il pizzo
Una vittima indica in aula ai giudici i suoi estorsori
LAMEZIA TERME (Catanzaro) – Il testimone è seduto su un lato dell’ aula, i giudici alla sua sinistra e gli imputati di fronte. Racconta di quando, poco più di due anni fa, qualcuno si presentò al suo negozio per chiedere il «pizzo». Volevano 1.200 euro al mese «da destinare a zio Pasquale», dice. «Chi è zio Pasquale?», domanda il pubblico ministero. «Pasquale Giampà», risponde il testimone, che è pure parte offesa. «È presente in quest’ aula?». Il testimone alza il dito indice, lo punta verso l’ uomo sistemato a pochi metri di distanza, fra i due avvocati difensori, e dice: «Sì, è lui». È la prima volta che accade in Calabria: una vittima del racket che accusa pubblicamente i suoi estorsori (presunti, fino al verdetto, ma altri imputati per lo stesso fatto sono già stati condannati col rito abbreviato) in un’ aula di giustizia. Non era mai successo in terra di ‘ ndrangheta, e forse per questo tra i curiosi accalcati dietro i banchi degli avvocati ci sono facce note alle cronache: il prefetto di Catanzaro Sandro Calvosa, il sindaco di Lamezia Gianni Speranza, il leader delle Associazioni antiracket Tano Grasso. Gli ultimi due si sono costituti parti civili contro gli accusati, ma la loro presenza è il segno che questa testimonianza vale molto di più del singolo processo. L’ uomo che accusa si chiama Rocco Mangiardi, ha 53 anni, basso di statura e piglio deciso. Gestisce un magazzino di autoricambi in via del Progresso, il cuore commerciale della città. Spiega che dopo quella visita cercò in tutti i modi di farsi almeno ridurre la quota da pagare. Si mise in contatto con gente vicina allo «zio Pasquale», che lui sapeva essere il boss della zona, «per risolvere il problema». Uno di loro, Vincenzo Torcasio, è stato arrestato ieri insieme ad altre tre persone, in una nuova operazione antiracket della polizia, anch’ essa resa possibile grazie alla collaborazione della vittima dell’ estorsione. Per Mangiardi non ci fu niente da fare: «Mi dissero che potevano scendere a 500 euro, ma se non volevo pagare dovevo chiudere». Poi fu avvicinato da una persona che conosce da sempre: «Suo padre è mio cliente, mi prese da parte e mi disse che poteva organizzarmi un incontro chiarificatore con lo zio Pasquale». Il pubblico ministero ripete la domanda: «È presente in quest’ aula?». Rocco Mangiardi alza il dito per la seconda volta, indicando l’ imputato Antonio De Vito, seduto accanto a Giampà e agli avvocati difensori: «Un giorno mi convocò nel suo ufficio – continua -, mi fece entrare in una stanza dove c’ era Pasquale Giampà e disse che dovevamo uscire solo dopo aver trovato l’ accordo». Ma nel faccia a faccia con il boss l’ accordo non si trovò: «Giampà era arrabbiato perché avevo cercato altre persone, mi disse che quando lo seppe voleva bruciarmi il magazzino, e che se volevo la protezione di altri dovevo trasferirmi nella loro zona. Io replicai che volevo solo attenuare il danno, e proposi 250 euro al mese. Lui rispose che non chiedeva l’ elemosina, e che in via del Progresso pagavano tutti, dalla A alla Z». Gli imputati fissano il testimone, che sembra sempre più piccolo ma non si ferma: «Io non voglio pagare gente che non lavora per me, e che so che userà i miei soldi per comprare proiettili, bombe e benzina. Preferisco assumere un padre di famiglia, ma subire un’ estorsione no». Poco dopo l’ incontro con Giampà, lavorando su un’ altra indagine, la polizia ebbe il sospetto che Mangiardi fosse ricattato dal racket. Fu convocato in questura, ma negò tutto. Aveva paura. Gli misero una microspia nell’ automobile e intercettarono un dialogo nel quale l’ uomo confidava alla moglie la tentata estorsione. Lo convocarono di nuovo, gli contestarono quel colloquio, Mangiardi vuotò il sacco: «Non posso più negare», e raccontò la storia che ora ripete in aula. Quando tocca a loro, i difensori degli imputati tentano di farlo cadere in contraddizione, ma il testimone insiste nella sua versione. Gli chiedono se ha avuto soldi dall’ Associazione antiracket, e perfino se abbia avuto una relazione sentimentale che gli dava dei problemi. Il presidente del tribunale non ammette le domande, il clima si fa pesante. Su domanda dei giudici viene fuori che il padre dell’ imputato De Vito, poco tempo fa, s’ è presentato al negozio di Mangiardi: «Mi ha chiesto se potevo aiutare suo figlio, per tirarlo fuori dal processo. Io lo capisco, ma non ne ho la possibilità». La deposizione è finita, il testimone esce dall’ aula accolto dagli amici dell’ antiracket e dagli agenti di scorta. Glieli hanno assegnati dopo la pubblicazione di notizie su un presunto progetto d’ attentato, non si sa bene a quale magistrato. Un disagio e una preoccupazione in più per Mangiardi, l’ uomo che ha detto no al «pizzo» e ha puntato il dito contro chi lo pretendeva. Tano Grasso lo abbraccia: «Il nostro auspicio è che altri imprenditori seguano il suo esempio ed escano allo scoperto, com’ è successo in Sicilia». E il sindaco Speranza: «Gli siamo grati, può segnare l’ inizio di una nuova era». E’ quel che ripeterà giovedì prossimo a al capo dello Stato durante la sua visita in Calabria, terra di ‘ ndrangheta e ora anche di qualche testimone. Giovanni Bianconi * Testimonianza La richiesta: 1200 euro al mese per zio Pasquale. «Niente sconti, in via del Progresso pagano tutti, dalla A alla Z» * Fiamme e avvertimenti In lotta contro la mafia La manifestazione di «Addiopizzo» Era il 25 aprile del 2006, a Palermo, quando si tenne la manifestazione a cui si riferisce la fotografia qui accanto. Era organizzata dal comitato antimafia siciliano «Addiopizzo» e si intitolava «Festa della liberazione» Imprenditore in prima linea L’ imprenditore Riccardo Greco accanto alla moglie Vincenza, a Gela. Sono una coppia simbolo della lotta al racket perché furono fra i primi a denunciare gli esattori del pizzo e le violenze subite da Cosa nostra e Stidda
Bianconi Giovanni
Pagina 20
(10 gennaio 2009) – Corriere della Sera
Apr
2008
Attacco alla 'ndrangheta: arrestati in 42
A distanza di un paio di settimane dagli omicidi che hanno insanguinato la provincia di Crotone arriva la risposta dello Stato che stanotte, nell’ambito dell’operazione “Heracles”, ha arrestato, non solo in Calabria, 42 persone.
Il blitz è stato portato avanti dalla polizia di Stato di Crotone nei confronti di presunti esponenti delle cosche Corigliano, Vrenna e Bonaventura, collegate alle cosche Megna e Russelli della popolosa frazione crotonese di Papanice.
Parte dei fermati sono affiliati ad una cosca, parte all’altra, considerate rivali tra loro. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, traffico di armi, traffico di sostanze stupefacenti.
Nel corso delle indagini sono emersi collegamenti con le cosche del reggino e con la criminalità albanese, dalla quale le persone coinvolte nell’inchiesta si sarebbero rifornite di armi ed esplosivo. Gli arresti sono stati portati a termine nelle province di Crotone e Reggio Calabria, e in altre regioni italiane, tra le quali l’Emilia Romagna e il Lazio.
L’operazione è stata condotta dalla polizia di Stato di Crotone e Catanzaro, e dal Servizio centrale operativo dello Sco di Roma impegnando circa 300 uomini e anche degli elicotteri.
Le indagini sono state coordinate dal sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Pier Paolo Bruni. Le persone fermate sono ritenute responsabili, tra l’altro, di avere organizzato l’attentato, poi sventato, ai danni del magistrato che ha condotto le indagini, oltre che dell’attentato dinamitardo ai danni di un esercizio commerciale di proprietà della moglie di un ispettore di polizia di Crotone, avvenuto il 25 aprile 2007.
Tra le persone fermate spiccano i nomi di Sergio Vrenna, Pino Vrenna, Egidio Cazzato e Luigi Bonaventura.
Apr
2008
Petilia atto quarto
"Oi grandissimu bastardu, quandu viani ara Sofama ti runpimu u culu, oi grandissimu figliu i puttana, intru u campu nemmenu cia trasiri", fanno passi da giganti in quanto a minacce i soliti coglioni anonimi petilini che si fanno forti chiamando in privato.
Ma se sono così coraggiosi perchè non chiamano col numero visibile e non si presentano?
Comunque a questo punto mi sto pure scocciando, intanto sono riusciuto a scoprire che la telefonata proviene da un telefono cellulare wind e quindi il cerchio si restringe (dovendosi quasi certamente trattare di qualcuno dei tesserati del Petilia Calcio) e siccome magari alla Caserma dei Carabinieri di Petilia Policastro conoscono la voce di questi delinquentelli da quattro soldi, ho deciso che domattina la denuncia la andrò a fare a casa di questi quattro stronzetti da strapazzo.
Alle 11 sarò in caserma, perchè non mi aspettate lì fuori?
Apr
2008
Petilia Calcio atto terzo
Dopo la telefonata dell’anonimo tifoso e di mister Miletta di lunedì scorso, poco fa trovo sul cellulare la telefonata del vice presidente del Petilia Calcio, Gino Carvelli.
La chiamata è più moderata rispetto a quella del tifoso (che il vice presidente Carvelli mi ha confermato più volte durante la telefonata che ha fatto benissimo a chiamarmi e minacciarmi!!!) ma il tono è sempre lo stesso e anche le richieste e cioè cancellare quello che ho scritto, smentire quello che ho detto.
Forse non ero stato abbastanza chiaro nei precedenti post.
Un volta scritto non cancello nulla, sennò che blog sarebbe?!
Il signor Carvelli è una persona molto informata infatti, non so come, sa già che ho registrato il mio programma su Radio Tele International ieri sera (lo sapevamo solo io, Piero Pili, Claudio Regalino e gli ospiti, del Camellino, Antonio Garofalo e Pasqualino Rizzuti) e sa pure che io avrei voluto discutere dei fatti di Petilia ma la linea editoriale del redattore sportivo è stata diversa.
Ma, come mi ha detto lui, LORO SANNO TUTTO!!!
Loro chi?
Anche se poi ha specificato che essendo lui impegnato nel sociale conosce tante persone e quindi lo avrà informato qualcuno di questi visto e considerato che mi ha detto che i ragazzi del Camellino non sono stati.
Anche se di persone impegnate nel sociale ieri non ne ho viste negli studi di RTI ma sai come me? ormai ti puoi aspettare del bene da chiunque!!!
Mi tocca però specificare una cosa, non riesco a trovare dove io lo abbia scritto, forse nel box messaggi perchè nei post non lo trovo, ma sapete un po’ nervoso lo sarò dopo tutte queste pressioni (voi che dite?) e magari non leggo bene, comunque avevo parlato di atteggiamento mafioso riferito alla gara di domenica mattina, la precisazione è che con questa frase io non ho dato del mafioso nè alla cittadina di Petilia, nè tantomeno al Petilia Calcio.
Io ho parlato dell’atteggiamento assunto da alcuni giocatori e dirigenti (solo alcuni, non tutti) nello specifico della gara con lo Scandale e quello che ho scritto rispecchia quello che è successo sul Comunale di Foresta; se poi i giocatori, la dirigenza del Petilia fuori dal campo sono tesserati Avis e donano il sangue tutte le domeniche, fanno volontariato con i vecchietti, assistono i bambini handicappati sono il primo ad esserne felice e a tessere le loro lodi!
Ma quanto successo domenica mattina non si può cancellare, ormai è storia.
Una brutta pagina di storia del calcio dilettantistico calabrese, certo qualcuno dirà che non è successo nulla di grave.
(Per fortuna…!!! ci voleva l’incidente serio per capire che è successo qualcosa?!).
Che queste cose succedono tutte le domeniche sui campi di calcio; belle cose che succedono allora!!!
Il calcio, lo sport in genere dovrebbe unire non dividere, dovrebbe creare fratellanza non inimicizie, dovrebbe essere partecipazione non VITTORIA AD OGNI COSTO, ma, dopo quanto dettomi ieri mattina anche dal presidente della Figc di Crotone, Piscioneri, devo arrivare alla conclusione che IO SONO SOLO UN POVERO ILLUSO!!!
Mar
2008
Minacce e scuse da Petilia. Telefonate da un tifoso anonimo e da mister Miletta
"Io sono un tifoso del Petilia, come ti permetti ieri a scrivere queste pagliacciate, che quello così quello colà, quando l’arbitro vi ha dato il rigore che non c’era, e che vi gridavano di mandarlo fuori… (…). Come ti permetti a scrivere su internet a nome del Petilia… il Petilia c’ha un nome, non ti permettere mai più, tu stai andando addosso contro il paese di Petilia, vai subito, un’ora, a cancellare tutto".
E’ iniziata così la telefonata (REGISTRATA) che ho ricevuto alle 08.49, rigorosamente in anonimo, da un presunto tifoso del Petilia.
Un po’ di nervoso e, quando si dice il tempismo, pochi minuti dopo mi chiama l’allenatore del Petilia, Bruno Miletta, per chiedermi scusa per ieri; gli accenno della telefonata e mi dice di stare tranquillo.
Provo a stare tranquillo… ma non è facile!!!
Siamo all’assurdo più totale.
Nell’era dell’internet, nei giorni in cui i monaci tibetani rischiano la morte per far sapere al mondo dei sopprusi cinesi, io dovrei stare zitto sulle infamità e su quanto successo su un anonimo campo alla periferia di Petilia.
Rosario non starà mai zitto… mai.
Non solo non cancello ma raddoppio, triplico, quadruplo.
Quello che ho scritto ieri era sono un anticipo, sono tante le cose che ho ancora da scrivere.
Caro anonimo telefonista con la tua telefonata hai chiuso il cerchio, se hai qualcosa da dirmi chiamami con il numero e FAI L’UOMO!!!
Mar
2008
Liberi dalla mafia: oggi manifestazione a Bari nel ricordo delle vittime della piovra!
La XIII Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie promossa da Libera in collaborazione con Avviso Pubblico si svolgerà il 15 marzo 2008 a Bari (data anticipata di una settimana rispetto al tradizionale e ufficiale 21 marzo, coincidente con il prossimo venerdì santo). La giornata con il patrocinio della Regione Puglia, della Provincia e della Città di Bari ricorda tutte le vittime innocenti delle mafie – su quelle pugliesi, circa quaranta, è calato il silenzio – e rinnova in nome di quelle vittime l’impegno di contrasto alla criminalità organizzata. La Giornata della Memoria e dell’Impegno è dedicata a tutte le vittime, proprio tutte.
Dai nomi più famosi a quei semplici cittadini, magistrati, giornalisti, operatori delle forze dell’ordine, imprenditori, sindacalisti, sacerdoti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perché, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere. Ricordiamo che il 21 marzo si svolgeranno manifestazioni contemporaneamente in cento città italiane.
Sabato 15 marzo 2008
ore 6.00 arrivo del treno speciale da Milano a Bari Centrale.
ore 6:30 arrivo autobus speciale da Palermo a San Giorgio.
ore 7.20 arrivo del treno speciale da Torino a Bari Centrale.
ore 9.00 Raduno dei partecipanti a Punta Perotti.
ore 10.00 Inizio del corteo con la lettura dei nomi delle vittime.
Il corteo prosegue per via G. Di Cagno, Corso Trieste, Lungomare Perotti, Lungomare Nazario Sauro, P.zza Diaz, Lungomare Di Crollalanza, Piazza 4 novembre, Corso Vittorio Emanuele.
ore 12.00 Arrivo del corteo in Piazza della Libertà. Saluti dei familiari e delle autorità.
ore 14:30 Workshop: i quattro seminari previsti sono occasioni di approfondimento, rappresentano il “prima” e il “dopo” di un impegno che prende corpo nella giornata in ricordo delle vittime delle mafie e si apre ad una dimensione progettuale che poi si misura con il territorio e la storia delle persone, giorno per giorno. I quattro seminari sono pensati per favorire la massima partecipazione e la riflessione su alcune questioni: lo sfruttamento dei minori da parte delle cosche; l’impegno delle scuole e dei giovani per l’affermazione della legalità; la dimensione internazionale della battaglia contro le mafie; il ruolo degli enti locali nella prevenzione delle infiltrazioni criminali nella pubblica amministrazione. L’inizio dei lavori è previsto per le ore 14.30 e la conclusione per le ore 17.30. Scarica i programmi dei workshop.
ore 18.00 Concerto finale e partenza dei partecipanti.
(Fonte: www.libera.it)
Non si può mortificare così la richiesta di giustizia dei crotonesi onesti.
E’vergognoso!!!! CROTONESI Non VOTATE più fino a quando lo Stato Italiano non ripristina la legalità e la giustizia sociale.
Ridateci il REGNO DELLE DUE SICILIE lestofanti politici.
questo articolo non mi sembra il massimo della comunicazione e vado a spiegare:
l’indagine è stata tolta( se non vado errato,ma il signor giornalista mi correggerà di sicuro) al Giudice che la stava conducendo, poco prima delle elezioni dal Procuratore Generale Dolcino Favi lo stesso che sottrasse l’inchiesta Why Not a De Magistris…che strane coincidenze……che dire o si dice tutto o se ne può tranquillamente fare a meno .
Allontanandoci dal commento della notizia in sè, mi piacerebbe che i riflettori si aprissero in toto su cosa significhi vivere in una realtà come Crotone. L’illegalità alberga in ogni angolo di strada. D’estate poi diventa tutto complicato,per via di una improvvisazione che vede locali d’ogni tipo occupare suolo pubblico e sparare musica ad alto volume ad ogni angolo di strada. Sui viali della città in uno spazio a ridosso delle case è da dieci anni che un chiosco bar spara musica a tutto volume fino a tarda ora. Nonostante proteste e ricorso alle forze dell’ordine e nonostante un’ordinanza emessa dal sindaco, stanotte l’allegro gestore è andato oltre l’orario consentito. Così come un ristorante in legno posizionato sotto le finestre di camere da letto ha visto avventori schiamazzare e ridere fino alle due di notte. Ci si chiede chi tutela i cittadini se in questa zona i sindaci che sono i gestori dei menzionati locali possono fare un po’ come gli pare. Per non parlare di emissioni di fumi in vicoli così stretti da sembrare camere a gas. Qui ognuno fa un po’ quel che gli pare e come gli pare e se parli una coltellata in pancia non te la toglie nessuno.
C’è un’indagine in corso dovuta alla commissione antimafia, alla Provincia di Crotone. Se le carte saranno spulciate a dovere ci si accorgerà che quest’ente chiuderà i battenti per via della bancarotta, determinata anche dalla gestione allegra dell’ex presidente provinciale grazie agli swapp attivati.Inoltre emergerà come i soldi razziati siano stati distribuiti alla cerchia degli adepti politici e degli amici. Un costume questo mai stoppato. Molte saranno le cose da chiarire. Come ad esempio ricorrere a personale esterno non utilizzando le figure che l’ente ha a disposizione e di come ad esempio vengono nominati dirigenti e consigliere di pari opportunità.La cosa che ultimamente ha scandalizzato e non poco è capire come mai addetti al servizio fotocopie prendano stipendi pari a dipendenti con tanto di laurea, tenuti in stand by per via delle solite beghe messe in atto. Credo che la mafia sia un conto. Ma ci sono altresì atteggiamenti illogici, come lo sperpero di finanziamenti europei alla quale la provincia ha aderito, mandando in gita assessori e consiglieri dell’ente in città europee per un progetto chiamato Mouving e che se fosse ben visionato, porterebbe più di qualcuno a stracciarsi le vesti….
Vedere questi commenti fatti ,verrebbe logico rispondere ma considerato il tipo di testata tutto si spiega.
Continuate a demonizzare Berlusconi miseri e ingenui boccaloni.
Per una volta se vi riesce, cercate di ragionare con la vs.testa non con quella atrui.
Il vice direttore di questo giornale e tutti della redazione nei e post comunisti lo fanno perchè oggi e trendy scaricare fango sulle persone che in alcuni casi portano pure soldi perchè fanno vendere i giornali.
La verità è un’altra cosa.
In Italia se qualcuno arriva dove stà Berlusconi é UNICAMENTE perchè con i soldi in Italia puoi comprare TUTTI compreso quelli che osannate come PSEUDO EROI.
Di Eroi ne ho sentito e visto ,come Falcone e Borsellino, per i quali ho pianto per la loro barbara morte ma costoro sono una cosa diversa.
Non date ad altri, meriti o demeriti a seconda della collocazione politica perchè in Italia è la MORALE politica e pubblica che è vergognosa e di misere vedute .
Se tale è, come si può facilmente notare è perchè L’Italia è un paese dove i corrotti (politici ed imprenditori) sono fratelli di sangue con Magistrati giornalisti e funzionari Pubblici anche di alto rango.
Chi non si vende per 1 milione si vende per 10 oppure 20
Solo in pochi sono interessati alla VERITAAAAAAAAAAA!!!!!
Un’altro pezzo importante della PDL indagato a Crotone sono marci fino al midollo ,per questo che siamo alla frutta ,Fate una retata della PDL e metteteli al fresco ma tutti …………
Finchè avremo a capo del Governo Italiano un uomo (definito così solamente perchè è della specie Homo Sapiens, non per il significato letterale del termine) che non spiega da dove sono venuti i soldi che gli hanno fatto costruire Milano 2 e 3, mettere su un impero finanziario off e in shore con risultati imprenditoriali sotto gli occhi di tutti, cosa possiamo aspettarci dai suoi accoliti?
Ma perchè nessuno si è mai chiesto come avesse fatto questo fantoccio della mala italia ad arrivare dove è ora realmente?
Tutti accecati da tette e ****!
La ‘ndrangheta non guarda il colore politico delle persone che utilizza nelle amministrazioni pubbliche,ma punta sempre su quello che sarà il cavallo vincente.
A differenza dei partiti la ‘ndrangheta raramente perde le elezioni.
E il capomandamento siede a capo del governo…
Onore a questi magistrati che con pochi mezzi, tanta dedizione e soprattutto coraggio rischiano ogni giorno loro malgrado di diventare degli eroi
(Grazie a Piero Drammis per avermi segnalato su Facebook l'articolo).